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Cioccolato: gli aztechi di Modica

020 Modica -  cioccolatoIl cioccolato di Modica. Forse non esiste al mondo nessun altro ingrediente alimentare che abbia una storia così ricca e appassionante come il cacao. Quando nel 1753 lo scienziato svedese Carl von Linné attribuì il nome scientifico di Theobroma cacao (Cibo degli dei) all’“albero del cioccolato”, il suo seme aveva già generato millenni di cultura, di miti e di leggende. Oggi, nell’immaginario comune di noi occidentali, il cioccolato è conosciuto e gustato soprattutto dolce nella sua caratteristica forma di barretta solida. Eppure già tremila anni fa, gli Olmecchi, i Maya e gli Aztechi - i mitici popoli precolombiani del Centroamerica – avevano lavorato i preziosi semi del cacao per preparare la xocoàtl, una prelibata bevanda dall’inconfondibile sapore amaro.

Fu proprio questo gusto non gradevole al palato dei conquistatori a determinare l’iniziale disinteresse degli europei. In seguito, i creoli, venuti meglio a conoscenza circa le proprietà benefiche della xocoàtl e la fondamentale importanza che essa ricopriva nell’identità culturale e spirituale dei propri “padri”, escogitarono un rimedio semplice ma efficace per eliminare il fastidioso sapore amarognolo e rendere più appetibile la bevanda: zuccherarla. E così, oltre ai fiori di vaniglia, alla cannella e al peperoncino, versarono nella cioccolata lo zucchero di canna che gli spagnoli avevano iniziato a coltivare nelle isole dei Caraibi. Un’intuizione vincente - ubbidiente forse al principio allopatico che cominciava a incunearsi nella forma mentis dei nuovi figli degli Atzechi - che ebbe un effetto esplosivo soprattutto nella società rinascimentale europea. Nell’arco di pochi anni, infatti, una quantità enorme di fave del Theobroma cacao prese a navigare l’oceano Atlantico, insieme ai metate – la pietra ricurva necessaria per macinarli - e a tutto l’occorrente che serviva per l’inebriante bevanda. Gli Spagnoli mantennero per lungo tempo il monopolio di questo nuovo esotico prodotto introducendolo nelle corti delle principali monarchie europee. L’antica xocoàtl degli aztechi conquistò i salotti della nobiltà e dell’alta borghesia del vecchio mondo, dando inizio a precisi rituali e favorendo la produzione di nuovi accessori per la preparazione. Per ventotto secoli, dunque, il cioccolato è stato “cioccolata”, una bevanda d’élite: nell’originario Centroamerica era un’esclusiva degli imperatori, capi militari e casta sacerdotale; nella vecchia Europa era un privilegio dei sovrani, nobili e prelati. Bisogna aspettare Napoleone e la Rivoluzione Industriale per assistere alla sua diffusione tra le classi popolari. L’evento è legato alle scoperte tecniche che favorirono la grande trasformazione del cioccolato da liquido a solido. Da bevanda proibitiva, ad accessibile alimento solido. Interpreti di questa rivoluzionaria metamorfosi furono le nazioni dell’Europa centrale e settentrionale, le quali diventarono subito leader indiscussi nella produzione e diffusione del nuovo prodotto. In Italia, il Piemonte ricoprì un ruolo notevole nella nascente industria del cioccolato. I paesi spagnoli del Mediterraneo da protagonisti della storia, della cultura e dell’economia del cioccolato si trovarono nella seconda metà del XIX secolo detronizzati e relegati ad un ruolo di semplice comparsa. Fortunatamente, la condanna all’estinzione dal mitico mondo del cibo degli dei è stata sfatata grazie alla lavorazione artigianale sopravvissuta con passione, oltre che nelle zone d’origine del Centroamerica, in alcune località rappresentative della cultura spagnola dell’età moderna: a Modica, a Villajoyosa, e a Bayonne.

Mentre a Villajoyosa e a Bayonne l’inesorabile progresso e le leggi di mercato hanno indotto un cambiamento all’originaria lavorazione, nella splendida città barocca siciliana   si continua, ancora oggi, a lavorare il cacao “a freddo”. Infatti, a parte l’uso del metate, sostituito dall’acquisto della massa di cacao, gli artigiani modicani continuano a fare il cioccolato secondo l’antica ricetta dei figli degli aztechi e dei primi spagnoli. Il cacao viene pazientemente sciolto a bagnomaria ad una temperatura che non supera i 45°C, in maniera da conservare i suoi aromi e amalgamarsi con lo zucchero, senza tuttavia fondersi con esso, infatti i cristalli dello zucchero con una temperatura di lavorazione così bassa rimangono integri. Il risultato non è paragonabile al “comune” cioccolato che, attraverso il concaggio, fonde tutti gli ingredienti. Il cioccolato di Modica rimane leggermente granuloso, “sabbioso” e gustandolo è possibile riconoscere - con un ritmo di assoluta goduria per il palato - i tre elementi che lo compongono: cacao, zucchero e spezie. Il grande Leonardo Sciascia, cultore della sicilianità più autentica, lo descriveva così: «… di inarrivabile sapore, sicché a chi lo gusta sembra di essere arrivato all'archetipo, all'assoluto, e che il cioccolato altrove prodotto, sia pure il più celebrato, ne sia l'adulterazione, la corruzione».

Non esagerava Sciascia a parlare di “archetipo”, perché il cioccolato prima che in qualsiasi altra regione italiana ed europea, immediatamente dopo la Spagna, è arrivato in Sicilia e soprattutto nella contea di Modica. Testimoniano questo importante primato: la presenza influente della nobile famiglia Enriquez; la pioneristica organizzazione nell’isola dei Gesuiti e alcuni termini dialettali già in uso nella Sicilia del Cinquecento.

Nel 1481 Federico Enriquez - primo cugino del re di Spagna - aveva sposato la contessa di Modica Anna Cabrera, inaugurando l’autorevole dinastia spagnolo-siciliana che arriverà nel 1641 a detenere con Alfonso Giovanni Enriquez de Cabrera l’ambito titolo di viceré della Sicilia. E’ evidente che per tutto il Cinquecento ed il Seicento, grazie all’autorevole famiglia Enriquez, i rapporti tra la contea di Modica e la Spagna siano stati particolarmente privilegiati: tutto quello che arrivava nella madrepatria, giungeva nella contea siciliana. I fichidindia, per esempio, arrivano in Sicilia subito dopo i primi viaggi di Cristoforo Colombo - prima del 1500 - quando ancora si credeva che le nuove terre fossero le vecchie Indie. Si chiamano infatti, ancora oggi, “fichi d’India” e non fichidamerica.

Le prime piantagioni di cacao in America Latina e i primi commerci del nuovo prelibato alimento con l’Europa sono stati gestiti dalla Compagnia di Gesù. I missionari nel nuovo mondo curavano la produzione e i loro confratelli, dai collegi delle principali città europee, ne amministravano la commercializzazione. Nel periodo in cui nacque il primo nucleo dei Gesuiti, la Sicilia era governata dal viceré Juan De Vega, ex ambasciatore della Spagna a Roma. La moglie, Eleonora Mascarenhas era stata amica d’infanzia del cavalier Ignazio de Loyola (1491-1556). Quando il nobile spagnolo si convertì e diede vita al nuovo ordine religioso, i coniugi De Vega lo incoraggiarono ad iniziare il suo apostolato proprio in Sicilia. Grazie al sostegno del viceré, i Gesuiti riuscirono a fondare i loro primi collegi nei più importanti centri dell’isola. A Modica lo istituirono accanto alla chiesa di Santa Maria del Soccorso. E’ interessante anche mettere in luce che, malgrado l’appoggio istituzionale, per i Gesuiti, i primi anni in Sicilia furono assai difficili, a causa della rivalità suscitata tra i domenicani e i francescani e la diffidenza con la quale venivano visti dal potente tribunale dell’inquisizione. Addirittura, c’era chi li trattava come se portassero il sambenito – sorta di poncho che i condannati per eresia erano costretti ad indossare per ordine dell’Inquisizione -, alla stessa maniera degli ebrei. Forse, il condividere la medesima condizione di ostracismo popolare avrà favorito il rapporto tra i primi Gesuiti e i tanti Ebrei Siciliani che, malgrado convertiti al cristianesimo per salvarsi dalla persecuzione dei sovrani spagnoli, venivano guardati con sospetto. La solidarietà dei Gesuiti nei confronti degli Ebrei convertiti si estese in tutto il mondo. Sant’Ignazio di Loyola prese pubblicamente le loro difese persino in Spagna, dove era partita la violenta persecuzione e dove i convertiti venivano chiamati con disprezzo “marranos”, cioè “pezzi di maiale”. Che siano stati i dotti Gesuiti, di ritorno dalle missioni, ad insegnare materialmente agli Spagnoli e ai Siciliani   l’arte di macinare il cacao con il metate è un’ipotesi che ho sempre tenuto in considerazione; se poi, i loro primi allievi siano stati soprattutto i “nuovi cristiani” senza lavoro e sempre a rischio di persecuzione è un’ipotesi che mi piace per il sentimento di umanità e solidarietà che la circostanza comunica.

Mi risulta, comunque, che la famiglia Bonajuto, emblema del cioccolato modicano, sia di documentata origine ebraica-spagnola e che i locali della loro antica dolceria si trovino ancora oggi a Modica Bassa, nel quartiere ebraico chiamato Cartellone. E anche i primi cioccolatieri di Villajoyosa e di Bayonne, a quanto pare, erano tutti di origine ebraica. Così come ebreo è l’anziano pasticciere coprotagonista del pluripremiato film La finestra di fronte. In una delle sue scene più belle, Davide – il pasticciere ebreo interpretato dal bravissimo Massimo Girotti - offre alla bellissima Giovanna Mezzogiorno un pezzo di “cioccolato speciale” e la invita a gustarne la leggera sabbiosità e l’alternanza dell’amaro del cacao con il dolce dello zucchero e a percepire, contemporaneamente, il sapore “lontano” della cannella!

La testimonianza linguistica che conferma la diffusione del cioccolato in Sicilia già nella prima metà del Cinquecento è affidata alla parola chiave cicara o cicaruni : in siciliano stanno ad indicare,   la “tazza” e la “grande tazza” utilizzate per fare colazione. Il termine deriva dal nahuatl - la lingua indigena della Mesoamerica - xicalli, creolizzato in jìcara: ed era la ciotola in cui gli Aztechi versavano la xocoàtl. Le jìcare erano ricavate tagliando perfettamente a metà i frutti - simili a delle zucche -   dell’ jicaro, l’albero tropicale diffuso ancora oggi nel Centroamerica. La grandezza, la forma e la consistenza delle jìcare erano importanti perché gli Aztechi vi versavano la xocoàtl da circa un metro e mezzo di altezza per provocarne la schiuma che era la parte più prelibata della bevanda, la quale veniva mangiata con cucchiai fatti con guscio di tartaruga. Il linguista Andreas Michel nel suo Vocabolario critico degli ispanismi siciliani attesta la parola cicara già nel 1560. Successivamente, nel Lombardo-Veneto spagnolo, la jìcara diventerà chicchera e approderà anche nel vocabolario della lingua italiana. E’ divertente sottolineare che nel dialetto più verace della provincia lombarda, la chicchera, oltre ad indicare la tazza di cioccolata, allude - con ironica malizia - alla più intima parte femminile. Sempre nell’opera di Andreas Michel troviamo un altro termine importante che testimonia la diffusione del cioccolato nella Sicilia spagnola della prima età moderna: cicculattera, ovvero: il pentolino di latta utilizzato per sciogliere il cacao.

Non deve stupire più di tanto, se già alla fine del Cinquecento, il cioccolato sia conosciuto ed apprezzato in gran parte della Sicilia: la contea di Modica era, infatti, la più grande, ricca e potente contea dell'Isola. “Regnum in regno” era il suo motto, e il suo territorio si estendeva fino alle attuali province del nisseno, del palermitano e del trapanese. È utile sottolineare, tra l’altro, che nella vicina Spaccaforno – oggi Ispica - si trovava una delle più estese piantagioni di cannamele dal cui trappeto si produceva lo zucchero indispensabile per preparare la xocoàtl modicana. I pionieri del cioccolato siciliano erano ambulanti, giravano per le vie delle città e vendevano porta a porta la loro xocoàtl. Con mezzi rudimentali, a volte trainati con l’asino, trasportavano fin sotto casa dei clienti il pesante metate, i sacchi di semi di cacao, lo zucchero, gli aromi, l’acqua e persino il carbone che adoperavano per scaldare la grande pietra a forma di seggiolino. A domicilio, sotto gli occhi delle persone, i primi cioccolatieri, in ginocchio, abbracciati al metate, macinavano “all’azteca” i chicchi del Theobroma cacao. Nella grande contea siciliana, grazie all’intraprendenza dei commercianti ebrei, la cioccolata era diventata, tre secoli prima che nel resto d’Europa e del mondo, una bevanda popolare.

Nonostante sia stata coinvolta dal tragico terremoto del 1693 che colpì tutto il Val di Noto, Modica continuò ad essere, fino ai primi decenni del Settecento, la terza città della Sicilia. Il suo declino inizia nel 1702 con la revoca dell'investitura da parte di Filippo V di Borbone, re di Spagna, nei confronti del conte Giovanni Tommaso Enriquez, accusato di tradimento. La contea fu inclusa nel demanio spagnolo e sarà utilizzata via via come oggetto di scambio nelle future staffette di potere, perdendo sempre più il suo antico prestigio. Il colpo di grazia glielo infliggerà Benito Mussolini. Durante il fascismo Modica fu sospettata di essere un covo di anarchici e socialisti e così nel 1926, il duce preferì promuovere Ragusa a capoluogo di provincia.

Oggi Modica non recita affatto il ruolo della nobile decaduta, anzi, è un’accogliente e prosperosa città di 55 mila abitanti, apprezzata per i suoi splendidi monumenti barocchi e per la sua seducente tradizione dolciaria. Gli straordinari scenari architettonici e naturali che si intrecciano e si rincorrono tra la parte alta e la parte bassa del suo abitato hanno ispirato suggestive definizioni come: “città di merletto” e “città presepe”; Gesualdo Bufalino nel suo romanzo Argo il cieco, l’ha paragonata ad una melagrana spaccata. L’UNESCO, nel 2002, l’ha proclamata patrimonio dell’umanità. Ma a contribuire, in maniera determinante e sorprendente, al suo recente notevole incremento turistico e a far conoscere il suo cioccolato in tutto il mondo, sono stati: Il commissario Montalbano e Il Maurizio Costanzo Show. Sembra incredibile, ma basta chiedere alla gente del posto e vi confermerà l’affermazione. In effetti, molte delle sequenze più belle della fortunata serie televisiva tratta dai romanzi di Andrea Camilleri, sono state girate proprio a Modica e nei suoi luoghi più rappresentativi: lo straordinario Duomo di San Giorgio – la Trinità dei Monti siciliana! –; lo storico Palazzo Polara; il caratteristico Teatro Garibaldi… sono stati ammirati da milioni e milioni di persone. E poi, il popolare presentatore di Canale 5, in una puntata del suo seguitissimo show, ha dedicato al cioccolato azteco siciliano un appassionato spot personale. In compagnia di Franco Ruta - titolare della “Dolceria Bonajuto”- e del “gastronauta” Davide Paolini, Maurizio Costanzo ha degustato, davanti ad un primissimo piano della telecamera, una barretta modicana e, platealmente rapito da un’estasi di godimento, si è lasciato andare ad una descrizione della squisitezza di quel cioccolato, in maniera così coinvolgente che persino agli anacoreti in ascolto, sarà venuta l’acquolina in bocca!

 E così, all’inizio del duemila, grazie all’interesse sempre crescente dei mass media, Modica e il suo cioccolato escono dalla nicchia della ristretta cerchia dei suoi estimatori e diventano fenomeno popolare. Televisioni nazionali ed estere, testate giornalistiche di tutto il mondo ne hanno rinforzato negli anni la popolarità, continuando a dedicarle costante attenzione. La consacrazione di questo successo   è arrivata nel 2005, quando l’Eurocholate di Perugia ha organizzato la prima edizione modicana della sua manifestazione. Un anno dopo, nella primavera del 2006, la nuova città del cioccolato sale sulla ribalta internazionale ospitando – per la prima volta in Italia – il prestigioso congresso mondiale della ICCO (International Cocoa Organitation). Il riconoscimento ufficiale da parte dell’ “Onu del cacao” agli artigiani dell’antica contea è stato d’immenso valore: si è tradotto in preziosi contatti con i più importanti imprenditori e consumatori di cacao del mondo. Invece, quello che tarda ad arrivare è il riconoscimento della IGP (Indicazione Geografica Protetta) da parte del Ministero delle Politiche Agricole. “Il Consorzio di Tutela del Cioccolato Modicano” - nato nel 2003, rappresentante 20 aziende locali - ha avviato da tempo l’istruttoria per l’ambita identificazione redigendo anche un disciplinare di produzione per salvaguardare e promuovere al meglio la storica ricetta azteca. Nel frattempo, gli artigiani più sensibili e desiderosi di migliorare la qualità del prodotto hanno aderito con entusiasmo alla “Fine Chocolate Organization” presieduta da Silvio Bessone. L’obiettivo dell’associazione, come molti sanno, è quello di riunire i migliori cioccolatieri italiani e di formare un forte fronte unito per acquistare il cacao di qualità, a prezzi onesti, direttamente dai produttori. Soprattutto per i modicani che lavorano la materia prima “a crudo”, è questo, un traguardo importante da raggiungere.

dolcezzesiciliaTratto dal Libro “Dolcezze di Sicilia – Storia e tradizioni della pasticceria siciliana”

di Salvatore Farina – Edizioni Lussografica 2009