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Storia del Gelato

granie e brioche
 Storia del gelato.
L’uso di mangiare la neve miscelata con latte, succhi di frutta e miele risale sicuramente a tempi molto antichi. Abbiamo numerose fonti che attestano l’abilità raggiunta dai Greci e dai Romani nella tecnica di raccogliere e custodire la neve. Per non parlare degli scritti e persino delle ricette che documentano la familiarità con la quale il fresco ingrediente trovasse ampio posto in cucina. In una lettera di Plinio il giovane – vissuto nel I secolo - si fa per esempio riferimento ad una torta d’orzo con vino mielato e neve!*1 Presentazione di Francesco Maspero ad Apicio – L’Arte Culinaria, a cura di Giulia Carazzali, Tascabili Bompiani,Milano 2004, pag.VI

Ma anche Senofonte, Ateneo, Simonide, Teocrito… hanno lasciato preziose testimonianze sull’uso e la cultura della neve nell’età classica. E poi,soprattutto in estate, nei thermopolia – i primi “snack-bar” della storia - il prodotto più richiesto e venduto era proprio il rinfrescante e dissetante sorbetto. Anche lo stesso termine scaturisce dal “latinissimo” sorbere – bere lentamente, a piccoli sorsi e assaporando -,che secondo Marco Terenzio Varrone è parola onomatopeica : “voce formata dal suono del sorbire in bevendo”.*2 Michele Pasqualino,Vocabolario Etimologico Siciliano-vol.5 pag.158 La controprova ce l’abbiamo con il siciliano surbiri – sorseggiare -,surbuni – sorso – e infine proprio con surbetta-surbetti che il Pasqualino nel suo Vocabolario definisce: “sorta di bevanda dolce congelata, sorbetto. Frigida sorbillum gelu concretum. Da surbiri, perché si sorbono”.

Questa breve annotazione storico-linguistica sull’origine del sorbetto è molto utile per smantellare definitivamente il luogo comune che diffonde la nozione secondo la quale la pasticceria siciliana sia quasi tutta di derivazione araba. Infatti, moltissime pubblicazioni parlando proprio del sorbetto tirano fuori la solita etimologia araba – in questo caso sharab e sherbet – per avvalorare con sicurezza la loro tesi. Ora, sulla base di quanto già scritto nell’excursus storico e nel capitolo di Pasqua sulla cassata, l’ingenuità di far derivare anche il sorbetto dalla gastronomia araba è veramente mastodontica! Come si può pensare che un popolo con quindici secoli di prestigiosa civiltà alle spalle e con una spiccata attitudine a fruire dei cosidetti piaceri del palato non avesse sperimentato già prima dell’arrivo degli Arabi la refrigerante miscela di sciroppo di frutta e neve o ghiaccio? Non è invece più plausibile pensare che siano stati i Siciliani che avevano – come abbiamo visto nelle fonti citate – una consolidata economia e cultura legata alla neve a fare assaggiare per la prima volta a genti provenienti dal deserto la dolce e fresca bevanda? E che quest’ultimi abbiano imparato a chiamarla sherbet “storpiando” il nome di surbetta? Siamo nel bel mezzo – direbbe Copernico - di una “rivoluzione gastronomica”: non è la parola sorbetto che deriva dal termine arabo sherbet, bensì il contrario!*3 Stesso fenomeno è successo con altri popolari dolci della tradizione dolciaria siciliana: cassata, spincia-sfincia,cubbaita… che hanno in lingua araba un nome simile a quello siciliano.

Anche la stessa evoluzione del sorbetto in gelato è un tema che ha sempre visto la Sicilia in primo piano. Al di là della sterile competizione di rivendicare la natalità siciliana di Procopio de’Coltelli, considerato insieme a Bernardo Buontalenti il padre della gelateria moderna,la Sicilia ha sempre vantato una lunga e forte tradizione nell’ambito del gelato. Il clima,la bontà degli ingredienti naturali e la maestria degli artigiani hanno favorito in tutte le epoche una vera e propria cultura del gelato siciliano. Tutti gli illustri viaggiatori del Settecento e dell’Ottocento – Brydone, Houel, Simond, Irvine… – che hanno soggiornato in Sicilia, non hanno potuto fare a meno di scrivere con meraviglia della particolare abitudine dei Siciliani di gustare quotidianamente gelati e granite di ogni genere. Persino Vittorio Amedeo di Savoia nel suo breve regno siciliano (1713-1720) rimase sconvolto dagli enormi quantitativi di gelati e sorbetti consumati dai parlamentari durante le assemblee. Quindi, al di là del dibattito ancora in corso su chi sia stato materialmente l’inventore del gelato e sulla sua relativa appartenenza geografica: Siciliano? Toscano? Campano? Il dato storico importante è che la tecnica del congelamento endotermico applicata in cucina sul finire del XVII secolo abbia trovato subito numerosi e abili adepti in tutta quanta la Sicilia. La domanda e l’offerta della nuova fresca e dolce specialità fece registrare nell’isola un continuo crescendo,il fenomeno è testimoniato dalla produzione e diffusione delle prime macchine artigianali per fare il gelato: un mastello di legno in grado di contenere un cospicuo quantitativo di sale marino e neve, e contemporaneamente un recipiente di rame stagnato. Nel recipiente, infatti, si versava lo sciroppo di frutta e con molto “olio di gomito” si ruotava e mescolava fino a raggiungere - grazie al raffreddamento - la consistenza desiderata. Il gelato è entrato a far parte della vita quotidiana dei siciliani al punto tale da diventare “alimento” a tutti gli effetti: la brioscia con la granita è la colazione preferita di gran parte dei Siciliani,soprattutto durante il periodo estivo. E prima che arrivassero le brioches, la granita e il gelato si mangiavano con il pane e – chi se lo poteva permettere - con i biscotti.

Del maestro Luca Caviezel – vera e propria autorità nel campo degli studi sulla gelateria – è molto interessante riportare ciò che egli scrive nel suo libro Sorbetti, granite e dintorni a proposito delle neviere e dei nivaroli siciliani: «Sui fianchi dell’Etna, al di sopra dei 1000 metri, nacquero e si svilupparono nel corso dei secoli moltissime neviere, profonde ‘fosse’ accudite dai nivaroli, figura tipica tra la gente del magico vulcano. Il nivaloru sapeva pressare a sulara (a solai, a strati) di 20-30 centimetri la neve trasportata nella fossa. A mano a mano gli strati di neve erano coperti di felci, paglia, foglie di castagno e così si ritornava a versare ed a pressare altri sulara sino a riempire la neviera, che veniva a sua volta accuratamente ricoperta con quanto disponibile, anche con la stessa nera terra vulcanica dell’Etna. D’estate il nivaloru, con piccone e sega, sapeva estrarre i lastroni di neve ghiacciata del peso assai ben misurato di 50 kg circa. I lastroni, trasferiti in acconci sacchi protetti con felci e foglie di castagno, venivano disposti e legati a due a due sul dorso del mulo; un bordonaro da solo accudiva una fila di 8-10 muli che, dalle fosse, cominciavano la discesa verso le città della costa o dei luoghi d’imbarco. Per il versante sud-orientale dell’Etna, questi erano il riposto dell’antica Mascali (da cui nacque poi la cittadina di Riposto, il “porto dell’Etna”), l’odierno paesino di Stazzo (da statium, stazione d’imbarco), Ognina e Catania».*4 Luca Caviezel, Sorbetti, granite e dintorni- Chiriotti Editori, Pinerolo, 2002 La nascita di figure professionali come il nivarolu e il bordonaro e la testimonianza dell’origine di certi luoghi ci danno l’ampiezza del fenomeno e l’importanza economica sorta attorno all’uso alimentare della neve che durerà sino ai primi anni del Novecento, quando si diffusero le fabbriche di ghiaccio. E poi dopo il secondo conflitto mondiale, con la diffusione del frigorifero, la neve scomparve del tutto dalle tavole domestiche.

In Sicilia ancora oggi, esistono due modi differenti di preparare la granita: quella palermitana con una granulosità molto grossa e quella catanese che invece presenta una consistenza molto più fine. Il maestro Caviezel spiega che più lenta è la tecnica di congelamento, maggiori dimensioni acquistano i cristalli di ghiaccio. «Nella Sicilia occidentale è in uso ancora il tradizionale sistema della carapina contenente la miscela che viene inserita in un bagno di salamoia in cui mano a mano va formandosi la granita a grani piuttosto grossi. Nella Sicilia orientale invece era invalso l’uso del mantecatore verticale che andava azionato a momenti alterni, affinché i cristalli di ghiaccio che andavano formandosi sulle pareti della campana venissero ‘scrostati’ ed il ciclo potesse riprendere. Con l’avvento dei mantecatori discontinui orizzontali poi questa lavorazione ha assunto un ritmo nuovo, e la granita presenta, attraverso l’azione dinamica del sistema, dei cristalli di ghiaccio molto minuti anche se avvertibili sulla lingua, cosa che comunque è richiesta».*5 Luca Caviezel op.cit. Grazie all’amico Antonio Cappadonia - insigne maestro gelatiere che vive e opera a Cerda, in provincia di Palermo – ho avuto più volte il piacere di essere coinvolto attivamente nella preparazione del gelato, posso quindi affermare che nella sua produzione intervengono una quantità enorme di fattori e di variabili che non hanno il corrispettivo in nessun’altra specialità gastronomica. Cosicché, per ottenere un gelato eccellente - a parte naturalmente la qualità degli ingredienti - non è affatto sufficiente possedere un’attrezzatura professionale e un’adeguata competenza tecnica, ma diventa indispensabile l’apporto umano: è la sapiente creatività del gelatiere che riesce ad esaltare i sapori e i profumi più intensi di qualsiasi gusto di gelato. E in Sicilia - in virtù forse della storia e della cultura sopra descritta - la creatività in gelateria è molto diffusa. Infatti, nonostante il disturbo causato dalle seducenti offerte del gelato industriale, non è difficile trovare ancora oggi in qualsiasi parte dell’isola delle ottime gelaterie artigianali. Le migliori sono quelle che valorizzano i prodotti locali, che non fanno uso di grassi vegetali idrogenati e che adoperano come addensanti la farina di semi di carrubba e di guar.

 

dolcezzesiciliaTratto dal Libro “Dolcezze di Sicilia – Storia e tradizioni della pasticceria siciliana”

di Salvatore Farina – Edizioni Lussografica 2009