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    GIOVANNI PACE

 

Giovanni PaceIl desiderio di intervistare l'amico maestro pasticciere Giovanni Pace, mi ha spinto lo scorso giugno ad andarlo a trovare a Porto Rotondo dove, ormai da diversi anni, lavora durante la stagione estiva. Nella bellissima e famosa località turistica della Sardegna, l'accademico palermitano è lo chef di fiducia di Gianni Lombardo, titolare di ben tre locali: La Gelateria del Molo, La Pasticceria del Molo e il Bar della Piazza. Gianni Lombardo è un imprenditore illuminato arrivato in Costa Smeralda una ventina di anni fa al seguito del principe Karim Aga Khan. Volontà, coraggio e scelte ispirate sempre dal principio di qualità hanno portato Lombardo a diventare il numero uno della gelateria e pasticceria di Porto Rotondo. Aver voluto al proprio fianco un maestro del calibro di Giovanni Pace è la prova provata di quanto l'imprenditore tenga al suo primato. Nella suggestiva cornice del delizioso molo con le sue belle barche ormeggiate proprio di fronte alla gelateria, incontro Giovanni. E' seduto in uno degli ultimi tavoli, a ridosso di una coreografica parete lignea dove troneggia un grande timone. "Nei momenti di pausa – mi dice – sono sempre qui, al tavolo 121. E' una postazione strategica: sono vicino all'ingresso del laboratorio, lontano dal via vai dei clienti e posso contemplare l'orizzonte del mare pensando alla mia vita... a breve, media e lunga distanza". La nostra chiacchierata-intervista non poteva avere un luogo e una dimensione migliore.
Come hai fatto a sbarcare in Sardegna nella vipposa Costa Smeralda me lo dirai in seguito. Adesso mi piacerebbe che tu mi raccontassi quando e dove è cominciata la tua carriera di pasticciere?


E' iniziata a Palermo più di trent'anni fa. Mio padre aveva due torrefazioni e una pasticceria con venti dipendenti. Io sono il quinto di sei figli maschi e quando terminai la scuola media, papà aveva già provato senza successo ad avviare i miei fratelli in laboratorio. Avere almeno un figlio che lavorasse in quello che egli definiva il motore dell'azienda, era il suo più grande desiderio. A 14 anni volli provare io a esaudire il sogno di mio padre e lui, quasi incredulo ma felicissimo, mi mandò a fare l'apprendista dal maestro Nino Amato, titolare de "La Preferita", una delle pasticcerie più rinomate della città. Lavorai più di sei mesi senza retribuzione per sancire il fatto che il mio stipendio era costituito dal privilegio di potere imparare l'arte da un fuoriclasse come Amato. In effetti, quando vidi il maestro Nino realizzare le sue opere con lo zucchero tirato e soffiato rimasi sbalordito, fu uno spettacolo che non avevo mai visto. Negli anni Settanta, a Palermo, Nino Amato era forse l'unico pasticciere a conoscere la tecnica artistica della lavorazione dello zucchero. E poi tra il laboratorio de La Preferita e quello di papà c'era un abisso. La full immersion in quella prestigiosa pasticceria è stata di fondamentale importanza per la mia formazione. Vidi e toccai con mano le enormi potenzialità che l'arte del dolce mi avrebbe offerto sia a livello umano che professionale. Studiando con il maestro Amato capii che per diventare un bravo pasticciere oltre a una buona dose di manualità, bisognava possedere una vocazione per la precisione e una particolare forza creativa, praticamente: gli ingredienti naturali del mio carattere! Fu così che fin da ragazzo mi innamorai del mio mestiere.
Quali sono state le prime mansioni che ti affidò il maestro Amato?
Come ogni iniziazione che si rispetti, ho dovuto affrontare delle dure prove. Le prime settimane furono scioccanti. Ai tempi non esisteva ancora il passa ricotta, quindi trascorrevo le giornate ad impastare e setacciare montagne di ricotta: ore e ore con un grande crivu – setaccio – in mano a far passare la ricotta zuccherata attraverso la fitta e sottile reticella del rudimentale attrezzo. E poi dovevo preparare i canditi con un laborioso e faticoso procedimento che non scorderò mai. Selezionavo e lavavo accuratamente la frutta e la immergevo per tre giorni in acqua con sale e fiori di gelsomino. Successivamente iniziavo la "novena", cioè per nove giorni ammollavo la frutta in acqua fresca e solo alla fine procedevo alla vera e propria canditura con la cottura e l'inserimento dello zucchero a volontà. Dopodiché i giorni non si contavano più perché dovevo pazientemente aspettare la comparsa della "pelle d'aglio". Infatti, i canditi erano finalmente pronti solo quando la frutta si ricopriva di un sottile strato di cristallo bianco: segno che l'assimilazione dello zucchero era stata pienamente completata. Un altro compito che mi fu assegnato era la preparazione dello zucchero fondente. Nelle gigantesche pentole in rame stagnato cuocevo enormi quantità di zucchero e mi sentivo come lo stregone visto al cinema quando preparava le sue pozioni magiche. E poi, non avendo termometro non potevo misurare la temperatura, indispensabile per capire quando lo zucchero arrivava alla sua esatta "maturazione". Così aspettavo con impazienza che il maestro Amato testasse con pollice e indice il liquido bollente per vedere la "fila", solo allora spegnevo il fuoco e mettevo tutto nei mastelli per le glassature.
Quando si concluse il tuo apprendistato dal maestro Nino Amato?
Quando imparai a preparare bene, ad occhi chiusi, la crema pasticcera e il pan di Spagna. E quando compresi veramente che il pasticciere si deve accostare agli ingredienti base come il musicista si accosta alle note musicali: "Le ricette come le partiture – mi ripeteva sempre il maestro Amato - sono infinite!". Ma quando feci ritorno nel laboratorio di papà, l'entusiasmo della mia straordinaria esperienza formativa fu freddato dall'accoglienza ostile che mi riservarono i suoi dipendenti. Erano venti leoni che volevano sbranare un ragazzino colpevole solo di voler introdurre delle novità per migliorare l'azienda di famiglia. Per tanto tempo mi misero il bastone tra le ruote. Fu un periodo difficilissimo durante il quale ho dovuto affrontare pesanti conflitti quotidiani e imparare a conoscere, da autodidatta, le miserie umane. Oggi posso dire che la lotta contro quei leoni servì a temprarmi il carattere, ma allora soffrii veramente molto. La mia tenacia fu comunque ripagata qualche anno dopo. Il giorno del mio ventesimo compleanno, mio padre, ormai sicuro delle mie potenzialità, mi fece un regalo importante. Convocò ufficialmente tutti i dipendenti e li mise con le spalle al muro: o eseguivano diligentemente le mie direttive, oppure andavano via. Pochissimi, due-tre, gli irriducibili, si licenziarono: gli altri diventarono delle mansuete pecorelle.Torta g pace
E dopo aver conseguito questo importante traguardo?
I veri punti di arrivo, come sai, si trasformano sempre in nuovi punti di partenza. Io, addirittura, un paio di anni dopo, sono andato incontro a quella che si può definire la mia vera e propria svolta professionale. Infatti, il mio universo lavorativo fino ad allora era costituito dalla realtà locale rinforzata solo dagli insegnamenti di papà e del maestro Amato. Ma ero assolutamente ignaro di cosa ci fosse fuori. Nell'86 rimodernammo il locale di via Armando Diaz e l'architetto che curò il progetto, per aiutarci ad immaginare il risultato finale ci fece guardare alcune fotografie contenute in una rivista di settore. Naturalmente – guarda caso -, quella rivista era Pasticceria Internazionale! Mentre l'architetto descriveva i dettagli dell'arredamento, io ero rimasto folgorato dalle immagini dei dolci delle pagine precedentemente sfogliate dal professionista alla ricerca delle foto da mostrarci. E' inutile dire che mi feci prestare la rivista e che nel chiuso della mia stanza la guardai e la riguardai con gli occhi pieni di stupore. Fu come scoprire l'esistenza di un nuovo mondo: ascoltare altri linguaggi e altri generi musicali. Io ero fermo al folk e ad un po' di musica classica, mentre le torte e i dolci fotografati e descritti da Pasticceria Internazionale suonavano sinfonie contemporanee, rock, jazz e persino samba. Precipitai nella crisi più profonda, ma anche più proficua della mia vita: quanta tenerezza mi assale a ricordare quel periodo e quanta emozione sto vivendo adesso nel rilasciare questa intervista!
Socraticamente parlando la tua crisi ha rappresentato la conquista della "dotta ignoranza": prendesti coscienza di non sapere. E quindi, quale fu la tua reazione?
Mi dicono di possedere un carattere tenace e penso che sia proprio vero. Ho sempre trasformato le difficoltà della vita in sfide da affrontare e superare. Quindi, promisi solennemente a me stesso che avrei frequentato i migliori corsi professionali. La prima occasione mi fu offerta da quello che sarebbe diventato un prezioso collega e un fraterno amico: Santi Palazzolo. Nel suo laboratorio di Cinisi, il maestro Luca Caviezel ci dedicò sei mesi del suo sapere spalancandoci le porte alla scienza del gelato artigianale. Nelle tre sessioni del corso, tutti gli ingredienti, gli elementi e i fattori che concorrono alla formazione del gelato furono scandagliati dal maestro Caviezel in maniera straordinaria: una settimana ci parlò solo degli zuccheri, un'altra solo degli addensanti, un'altra ancora dell'inglobamento dell'aria e così via. Ricordo che nel bel mezzo di una lezione, un corsista sbottò: "Ma il gelato quando lo facciamo?". E il maestro Luca lo zittì citando Albert Einstein: "Si ricordi sempre che il gelato va fatto nella maniera più semplice possibile, ma non semplicemente!". Ancora oggi, tutto quello che continuo a preparare e a bilanciare creativamente nell'arte della gelateria, lo devo a Luca Caviezel. Dopo quel primo corso, sono andato fuori a frequentare importanti stage diretti da personaggi illustri come Achille Zoia, Luigi Biasetto, Pino Scarigella, Pascal Brusten e Pierre Hermé. Di quest'ultimo, soprannominato giustamente il "Picasso della pasticceria", mi colpì la sconvolgente creatività che applicava nella preparazione delle sue torte: un raffinato minimalismo combinato ad una inedita stravaganza dei sapori. Per non parlare dei suoi mitici macaron, veri e propri capolavori della pasticceria contemporanea. Indimenticabile poi l'esperienza formativa sul cioccolato vissuta in Francia a l'Ecole du Gran Chocolat Valrhona con Frédéric Bau. Fu entusiasmante scoprire i segreti più profondi e inaspettati di uno dei miei ingredienti preferiti. Nella cittadina francese di Tain l'Hermitage, grazie alla sorprendente bravura del patissier Bau, ho potuto sperimentare tutti i punti di cristallizzazione del burro di cacao e controllarne i diversi livelli di fusione, comprendendo definitivamente che per lavorare il cioccolato è tutta una questione di temperatura.
Che ricaduta ebbero questi corsi professionali sulla tua attività lavorativa?
Più che di ricaduta si può parlare di "rivolata" fino a New York! A parte la battuta, nel 1998, nel momento più brillante della mia formazione decisi di lasciare la pasticceria di via Diaz. Il locale era diventato per me troppo gravoso da gestire e prima di logorarmi accettai il caloroso invito di uno chef di New York di andare a lavorare in America. Sognavo anche di poter dare un futuro migliore ai miei due bambini. Il programma con mia moglie era quello collaudato da quasi tutti gli emigranti del mondo: partire da solo, pianificare tutto e in un secondo momento trasferire la famiglia. Iniziai a lavorare da Veniero's Pasticceria, uno dei locali storici di Manhattan e successivamente mi spostai a Brooklyn nella pasticceria Villabella. Lavoravo benissimo e guadagnavo tantissimo. Inviavo a casa così tanti soldi che mia moglie un giorno preoccupata al telefono mi chiese: " Ma è sicuro che fai il pasticciere? Non è che ti hanno assoldato come killer?". Rimasi a New York 18 mesi. Avevo creato le condizioni per aprire una pasticceria, ma al momento del trasferimento della famiglia, Letizia, mia moglie, fu sopraffatta dal dolore di dover lasciare i suoi affetti e dal panico di cambiare totalmente vita. Il sogno americano svanì così, ma sono tutt'ora orgoglioso di avere maturato quell'esperienza e ancora più orgoglioso... di essere ritornato a casa.
E com'è stato il reinserimento in Italia?
Difficilissimo. La mia famosa tenacia fu messa seriamente alla prova: avevo, infatti, perso tutti i contatti e dovetti ripartire da zero. Iniziai a frequentare professionisti come Danilo Freguja e feci uno stage di un mese a Padova da Iginio Massari sui lievitati e il panettone. E poi nel 2001 accolsi volentieri l'invito dei fratelli Luigi e Nino Accardi di dirigere il loro laboratorio. Contemporaneamente, la scuola alberghiera "Pietro Piazza" di Palermo mi affidò delle ore di docenza di terza area di pasticceria e l'anno successivo iniziai anche l'attività di consulente per la Irinox e la Frigomat. Dopo un paio di anni di super lavoro e di continuo viaggiare da una città all'altra, fui obbligato a lasciare il laboratorio dei fratelli Accardi e successivamente anche la docenza al "Pietro Piazza". Ma non riuscii a dire di no alla seducente proposta di Gianni Lombardo di fare la stagione estiva allo Yacht Club Costa Smeralda di Porto Cervo in qualità di chef patissier. Fu la mia prima esperienza in Sardegna e anche la prima volta che mi cimentai nella preparazione dei dessert da ristorazione. Nella favolosa struttura del principe Aga Khan lavorava già il famoso Salvatore Di Meo con il suo stuolo di cuochi impegnati a preparare ogni giorno piatti straordinari che dovevano stupire gli occhi e il palato degli eccezionali ospiti. Io e i miei quattro commis avevamo il compito di onorare il fatidico momento del dulcis in fundo con la scelta, quotidianamente rinnovata, di 18 dessert al piatto di cui sei caldi e 12 freddi. Il dolce che mi impegnava di più - tra l'altro il più richiesto - era il soufflé cioccolato e vaniglia che doveva arrivare al tavolo immediatamente prima che perdesse il suo caratteristico volume.

Da allora, dunque, hai continuato a fare la stagione estiva in Sardegna?
No. La mia vita, come hai potuto constatare, è stata ed è piacevolmente contrassegnata da un perenne navigare alla ricerca della mia Itaca. Così nel 2005 accettai con entusiasmo il progetto di mio fratello Francesco – esperto di sala e bar – di aprire una pasticceria a Palermo. Acquistammo un locale in via Abruzzi e inaugurammo "L'Altro Dolce". Grazie all'alta qualità dei prodotti e del servizio impeccabile raggiungemmo subito eccellenti soddisfazioni. La mia torta Gattopardo, preparata da diversi anni in quasi tutte le pasticcerie del palermitano, mi aveva reso famoso tra i golosi e i buongustai della città e costituiva un eccezionale elemento trainante per l'Altro Dolce.
Puoi soffermarti un attimo sulla Gattopardo? Com'è nata? Com'è fatta?
Nel 1999, all'interno di uno degli incontri dell'APAS – Associazione Pasticcieri Artigiani Siciliani – preparai una mousse di ricotta con un inserimento di cioccolato fondente, una glassa al pralinato di nocciola, frolla di pistacchio e pan di Spagna al mandarino candito. Il felice equilibrio degli ingredienti e il gradevolissimo impatto sulle papille gustative suscitarono subito i generosi apprezzamenti dei colleghi. La chiamai Gattopardo perché come all'epoca della spedizione dei Mille, gli ingredienti siciliani si sono lasciati conquistare da quelli piemontesi senza tuttavia perdere il potere dominante. Il successo di questa mia ricetta è stato decretato dalle numerosissime pasticcerie della Sicilia occidentale che ancora oggi la preparano anche come gusto gelato.
Quando sei entrato a far parte dell'AMPI? E cosa comporta esserne socio?
Conosco l'Accademia Maestri Pasticcieri Italiani dalla sua fondazione. Già allora, nel 1994, Iginio Massari mi invitò a farne parte. Ma allora mi sembrò prematuro, mi sentivo impreparato e troppo impegnato a seguire le mie rotte. Nel 2006, in occasione del simposio di Palermo, capii che era arrivato il grande momento e fui accolto con entusiasmo da tutti gli accademici che naturalmente conoscevo da tempo. Quello che mi entusiasma dell'AMPI è lo spirito di ricerca che ci accomuna e che possiamo condividere soprattutto durante i simposi tecnici di marzo. La testa di Massari è una fonte inesauribile di stimoli per tentare di scoprire sempre i segreti più nascosti della nostra arte. Il confronto e l'approfondimento su un semplice bignè ci impegna a volte giornate intere! E poi i prodotti li esaminiamo con l'apporto prezioso del rigore scientifico di illustri studiosi e docenti universitari come Giandomenico Machiavelli, Franco Antoniazzi e Luigi Odello.
Vogliamo concludere l'intervista con il tuo attuale presente e il tuo più prossimo futuro?
La mia indole libertaria e di navigatore mi ha fatto concludere presto l'esperienza de "L'Altro Dolce" e dal 2007 ho iniziato ad organizzare il mio lavoro tra Porto Rotondo d'estate e le consulenze professionali il resto dell'anno. Con Gianni Lombardo abbiamo raggiunto un ottimo accordo che mi consente di gestire e di vivere il laboratorio in maniera creativa e professionale come piace a me. La Irinox e la Frigomat mi hanno sempre sostenuto dandomi anche la generosa disponibilità di organizzare i tempi del lavoro secondo le mie reali esigenze. Il futuro si chiama Antonino e Fabrizio, come i miei due figli, anch'essi impegnati nel settore dolciario con i quali vorrei al più presto imbarcarmi per trovare insieme l'America e Itaca in Sicilia.

Salvatore Farina